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Le osservazioni della radiazione cosmica di fondo, considerata l'”eco” del Big Bang, sono compatibili con questo modello. Tra gli studiosi anche ricercatori italiani

DA STAR WARS  a Superman, da Ritorno al Futuro a Star Trek, il cinema di fantascienza ci ha fatto conoscere molto bene gli ologrammi. Siamo infatti abituati a vedere ologrammi di personaggi, astronavi, e ovviamente alieni di ogni specie. Ma quel che forse non immaginiamo è che l’intero Universo potrebbe essere un gigantesco e sofisticato ologramma.

 

E’ questa la conclusione di una nuova ricerca internazionale, che combina aspetti teorici della fisica dell’universo primordiale a studi legati alla struttura fondamentale della materia. Una complessa analisi, a cui hanno partecipato in Italia ricercatori della Sezione di Lecce dell’Infn e dell’Università del Salento. Lo studio, pubblicato su Physical Review Letters, potrebbe aprire la strada per una migliore comprensione del cosmo, spiegando come sia nato e come si siano prodotti lo spazio e il tempo in cui viviamo.

Un modello per l’Universo. Secondo il modello attuale, il nostro Universo è nato dal Big Bang, una colossale “esplosione iniziale” avvenuta quasi 14 miliardi di anni fa. Dopo il Big Bang l’Universo ha iniziato a espandersi in modo continuo fino a raggiungere l’aspetto attuale. Resta da capire come mai questa espansione stia procedendo in modo accelerato, ovvero perché l’Universo si “gonfi” sempre più velocemente. Il modello attuale, supportato dai dati sperimentali, si basa su una combinazione fra materia visibile e materia oscura e sull’azione della misteriosa Energia Oscura, che sarebbe la principale responsabile dell’espansione accelerata.  Ma secondo la nuova ricerca, le osservazioni sarebbero in accordo anche con un modello alternativo, basato su un Universo olografico. “L’ipotesi che il nostro universo funzioni come un enorme e complesso ologramma è stata formulata negli anni ’90 del secolo scorso da diversi scienziati, raccogliendo evidenze teoriche in vari settori della fisica delle interazioni fondamentali”, ha spiegato Claudio Corianò, ricercatore dell’INFN e professore di fisica teorica dell’Università del Salento, fra gli autori dello studio. 
 

Visioni in 3D. Ma, fantascienza a parte, che cosa vuol dire Universo olografico? L’idea da cui si parte è quella di un ologramma ordinario, in cui un’immagine tridimensionale è codificata su una superficie bidimensionale. Per costruire la percezione della terza dimensione, si parte dall’informazione sulle due dimensioni iniziali. “Per creare un ologramma”, spiega Corianò, “si prende un fascio laser luminoso e lo si separa all’origine in due fasci: uno è inviato su un oggetto distante e quindi viene riflesso, mentre l’altro è inviato per essere registrato. Servono due coordinate per indirizzare il fascio incidente sull’oggetto, in modo da esplorarlo completamente, mentre è proprio l’interferenza tra il fascio originario e quello riflesso che permette di ricostruire l’immagine e dare il senso della profondità”. Un altro esempio di ologramma che molti hanno in tasca (senza saperlo) sono gli ologrammi di sicurezza, quelle figurine tridimensionali stampate sulle carte di credito. 

Universi olografici. A partire dal concetto di ologramma ordinario, i fisici teorici hanno costruito un modello in cui è l’intero Universo ad essere un ologramma. Possiamo infatti descrivere un punto dell’Universo utilizzando quattro dimensioni, tre per lo spazio più una dimensione “extra” per il tempo. Esattamente come un ologramma ordinario, in cui rappresentiamo un oggetto tridimensionale a partire da due dimensioni, in questo modello i punti dell’Universo a quattro dimensioni si costruiscono usando solo tre dimensioni. A partire da questa “struttura base” a tre dimensioni, possiamo così “proiettare” l’intero Universo nelle tre dimensioni dello spazio e nel tempo.

Dalla teoria alle osservazioni. Tra ologrammi, Universo e dimensioni varie è facile perdersi fra equazioni e concetti molto complessi. Eppure la conclusione di Corianò e colleghi è che i dati osservativi sono compatibili con questo modello di Universo. I ricercatori hanno infatti analizzato le osservazioni condotte dal satellite europeo Planck, progettato per studiare la radiazione cosmica di fondo. Analizzando la struttura di questa radiazione di fondo, che possiamo considerare l'”eco” del Big Bang, è infatti possibile riuscire a scovare gli indizi della natura olografica dell’Universo. Nel loro lavoro, gli autori confermano che il modello attuale rappresenta meglio i dati, sottolineando però che in alcune condizioni il modello olografico potrebbe essere più adeguato. Oltre a farci riflettere su concetti così complessi, gli autori sperano che questo risultato possa aprire la strada a una comprensione più profonda dell’Universo in cui viviamo, magari adottando un punto di vista meno convenzionale ma sicuramente molto affascinante.[fonte]

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