Due scienziati hanno valutato la possibilità che una civiltà aliena capti i “messaggi” che (anche involontariamente) inviamo ogni giorno nello spazio. Avremo risposte?
Da circa un secolo dalla Terra partono ogni giorno messaggi radio di vario tipo che si propagano nello spazio. In qualche modo potremmo dire di avere iniziato una sorta di conversazione interstellare involontaria, nel senso che i segnali radio che produciamo non sono specificatamente diretti verso civiltà extraterrestri, tranne rari casi, come il famoso messaggio di Arecibo.
Ma in linea di principio, se ci fosse una civiltà tecnologica in grado di riceverli, questa potrebbe pensare di rispondere, o almeno di mandare un cenno della propria esistenza in direzione del nostro pianeta.
Per adesso, non se ne parla. Abraham Loeb, direttore dell’Institute for Theory and Computation dell’Università di Harvard (Usa), e il suo studente Amir Siraj si sono posti il problema di valutare se questo sia ragionevolmente possibile e, nel caso, quanto tempo dovremo aspettare la risposta dei nostri amici (speriamo) extraterrestri. Il loro studio è stato descritto in un articolo che è ancora in fase di verifica da parte della comunità scientifica.
I due sono partiti da una serie di considerazioni: prima di tutto hanno stimato quanti pianeti simili alla Terra in orbita attorno a stelle simili al Sole ci siano in un raggio di 100 anni luce da noi (la regione raggiunta dalle nostre trasmissioni radio). E poi si sono posti il problema della “sovrapposizione temporale”: la nostra civiltà è in grado di inviare e di ricevere segnali radio da circa un secolo, che rappresenta una frazione davvero infinitesima sia del tempo che è occorso alla vita per evolversi sul nostro pianeta sia dell’età della nostra galassia.
Che probabilità c’è che un’altra civiltà proprio ora sia almeno al nostro stesso livello tecnologico e che non l’abbia superato da così tanto tempo da estinguersi per qualche ragione? La conclusione di Loeb e Siraj è che “non è plausibile” aspettarsi adesso una risposta ai nostri messaggi radio inviati nello spazio. In numeri, la probabilità è inferiore a 1 su 10 milioni.
Diffidenti? Non va bene. I due scienziati hanno poi esplorato un altro aspetto. Cioè hanno considerato che se qualcuno là fuori dovesse intercettare una nostra trasmissione (magari uno di quei programmi di tv spazzatura…), prima di rispondere potrebbe essere tentato di sapere qualcosa di più sul nostro pianeta e su chi vi abita. Non si sa mai. Ma se per raccogliere informazioni da vicino gli alieni inviassero verso la Terra una sonda a propulsione chimica (come quelle che mandiamo noi terrestri) ci vorrebbero centinaia di migliaia di anni prima che giunga a destinazione.
E anche sistemi di propulsione più innovativi, come quello di Breakthrough Starshot, non sarebbero efficienti per raggiungere sistemi stellari più lontani di 20 anni luce (troppo pochi) in tempi ragionevoli. Loebe e Siraj sottolineano quindi che se domani dovessimo trovarci sulla soglia di casa una sonda aliena, è estremamente improbabile che sia stata mandata in risposta alle nostre emissioni radio. Sarebbe arrivata per caso.
Da più lontano. I due ricercatori di Harvard hanno allora considerato volumi più grandi di spazio, che saranno raggiunti solo in futuro dalle nostre emissioni radio. Giungendo alla conclusione che sì, forse una risposta la riceveremo, ma da distanze dell’ordine di 1.000 anni luce. Considerando che un messaggio radio impiega quindi 1.000 anni ad arrivare, ed altrettanto impiegherebbe una eventuale risposta, possiamo pensare di… aguzzare le antenne intorno all’anno 4.000. Implicitamente questo significa anche che se vogliamo sperare di avviare una conversazione interstellare (che sarebbe peraltro piuttosto noiosa, potendosi scambiare un messaggio di domanda-risposta ogni 2.000 anni) dovremo tenere da conto la nostra civiltà e il nostro pianeta per molti millenni.
Questo, intanto, è un messaggio per i nostri posteri. [Fonte]