Una domanda che arrovella da quasi 70 anni astronomi e astrofisici: se non siamo soli nell’Universo, dove sono tutti gli altri? Dal 1950, i ricercatori tentano di trovare una risposta all’interrogativo, attribuito al fisico italiano Enrico Fermi e noto appunto come “Paradosso di Fermi”. Interrogativo che nel tempo si è fatto sempre più impellente, dopo la scoperta che solo nella nostra galassia, tra pianeti e lune, possono esistere miliardi di mondi abitabili. Ma allora, “where is everybody”?
Da un lato, infatti, c’è la altissima probabilità che la vita sia diffusa ovunque nel cosmo. Dall’altro, però, c’è la totale mancanza di elementi che lo provino. Nessun segnale intelligente, nessuna traccia tecnologica, nessuna biofirma. Tanto che più voci si sono alzate per affermare che evidentemente la vita non è affatto così comune come si pensa e quanto avvenuto sulla Terra è un unicum. Ma altri autorevoli ricercatori ribadiscono un vecchio concetto: l’assenza di prove non è prova dell’assenza.
Già alcuni anni fa, Jill Tarter, l’ex direttrice del SETI– il progetto che da decenni sta in ascolto nella speranza di captare messaggi provenienti dallo spazio- si era espressa in questi termini: il chiassoso silenzio registrato in tutti questi anni dalle nostre strumentazioni può essere spiegato con la ridotta, ridottissima percentuale di spazio interstellare indagato fin ora. Sarebbe come affermare che in tutti i nostri oceani non ci sono pesci dopo aver esaminato una quantità d’acqua pari ad un bicchiere.
L’esempio già rende l’idea delle proporzioni, ma ora uno studio postato su ArXiv.com le ha quantificate in termini scientifici. A realizzarlo, tre ricercatori della Pennsylvania State University guidato da Jason Wright. Per prima cosa, spiega il sito online del MIT (Massachusetts Institute of Technology), hanno creato un modello matematico del “pagliaio cosmico” nel quale tentiamo di trovare il fatidico ago: una ideale sfera con al centro la Terra e un diametro di circa 30 mila anni luce.
Uno spazio ad 8 dimensioni, visto che contempla anche l’intervallo di frequenza dei potenziali segnali, la loro frequenza, la polarizzazione, la modulazione e la larghezza di banda della trasmissione.
È in questo “pagliaio” con dimensioni pazzesche (una cifra seguita da 115 zeri…) che il SETI ha compiuto le sue ricerche. Gli autori hanno calcolato quanto ne sia stato finora scandagliato, ricavando questa percentuale: circa lo 0.00000000000000058% dell’intero volume. Conservando la metafora acquatica di Jill Tarter, è come se, nello studiare tutti gli oceani presenti sul nostro pianeta, ne avessimo esaminato l’equivalente di una vasca.
Oppure, l’equivalente di una zolla di cinque centimetri di lato rispetto all’intera superficie della Terra. Un po’ pochino, insomma, per trarre qualsiasi conseguenza.
Senza contare, poi, un altro aspetto non trascurabile: cerchiamo senza sapere esattamente cosa cerchiamo. Come comunicano gli Alieni? In quali forme? Nel corso di un workshop organizzato dalla NASA che si svolto il mese scorso sulle tecno-firme (le tracce tecnologiche che eventuali civiltà aliene possono aver lasciato nello spazio attorno a noi) è intervenuto uno dei coautori dello studio, l’astronomo Shubham Kanodia, che ha spiegato con un’altra metafora l’enorme difficoltà incontrata in questo tipo di ricerca.
“Supponiamo che io vi dica che c’è un evento davvero interessante proprio qui a Houston. Ma non vi dico esattamente dove sia. Non vi dico quando avviene. Non vi dico nemmeno di che si tratta. È in una libreria? È un concerto? Non vi do alcuna informazione essenziale. Sarebbe difficile cercare di trovarlo”. Ha poi aggiunto, ironicamente. “Insomma: Houston, abbiamo un problema. Non sappiamo cosa stiamo cercando e quindi non sappiamo da dove incominciare.”
Ovviamente, non c’è alcuna certezza che anche ampliando il nostro raggio di indagine riusciremo mai a trovare alcunché. Nel pagliaio cosmico potrebbero anche non esserci aghi, come sembra ipotizzare un’altra ricerca svolta da un team dell’Università di Oxford secondo il quale ci sono 2 probabilità su 5 che l’Umanità sia l’unica forma di vita intelligente dell’intera galassia. Altri, invece, preferiscono spiegare il silenzio cosmico con una scelta precisa: gli Alieni esistono, magari anche molto vicino a noi. Ma preferiscono non farsi vedere…[fonte]