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Quei ruscelli stagionali scoperti dalla Nasa sono vicini anche al robottino che da tre anni sta esplorando il pianeta rosso. Ma non può andarci perché rischierebbe di contaminare una zona dove sono possibili forme di vita. Lo stabilisce un trattato internazionale

CHISSA’ se in queste ore, al Jet propulsion laboratory della Nasa, qualcuno dei ‘piloti’ del rover che sta esplorando Marte da più di tre anni, ha la tentazione di prendere quel joystick e guidare Curiosity dove potrebbe trovarsi l’acqua. Sì perché nell’annuncio dato dalla Nasa, di aver trovato le prove che sul pianeta rosso scorrono, stagionalmente, rivoli di acqua salmastra, è passato in secondo piano un dettaglio davvero intrigante. Alcuni di quei solchi che appaiono e scompaiono sono stati osservati non troppo lontano da dove si trova il robot, all’interno cioè del cratere Gale. Parliamo di una distanza di meno di 50 chilometri, non esattamente una passeggiata ma il suo motore e la sua autonomia lo permetterebbero. L’ipotesi è stata formulata in due studi pubblicati su Icarus e sul Journal of Astrobiology & Outreach che li hanno individuati grazie alle immagini del Mars reconnaissance orbiter

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Se fosse un videogioco o un film sarebbe davvero un obiettivo irresistibile: guidare Curiosity fino al letto di quei ruscelli, analizzare i campioni di suolo per avere ulteriori conferme e, magari, stare a guardare fino a che non spuntano di nuovo. In fondo è proprio per cercare se siano esistite condizioni per la vita che lo abbiamo spedito laggiù. Ma questo non è “The Martian” e Curiosity non farà nessun passo verso quella direzione.

L’Onu e il trattato sullo spazio. Nonostante si trovi su Marte, infatti, anche lui (e assieme a lui i suoi ‘registi’) sono soggetti alle leggi della Terra. Una risoluzione Onu e un trattato internazionale gli impediscono di avvicinarsi a qualsiasi cosa possa, anche solo come lontana ipotesi, possedere le condizioni per ospitare la vita se c’è il rischio che la possa contaminare.

L’Outer Space Treaty (Trattato sullo spazio extra atmosferico) e, prima ancora, la risoluzione Onu 2222 del 1966, impongono agli Stati di “evitare la dannosa contaminazione dello spazio e dei corpi celesti”.  Anche se può sembrare una precauzione eccessiva, è un’eventualità tenuta ben presente quando un veicolo viene inviato su un altro pianeta per esplorarne il suolo. I microrganismi hanno dimostrato di poter resistere anche a condizioni proibitive e, anche dopo un viaggio di centinaia di milioni di chilometri, come quello percorso da Curiosity per mesi nello spazio profondo, non si ha la certezza che gli eventuali “passeggeri” possano aver resistito alla traversata.

Missione a rischio. “Anche quando Curiosity ha trovato tracce di metano, che può suggerire la presenza di forme di vita, ci si è chiesti: e adesso che si fa?. C’era l’eventualità di dover sospendere la missione”, spiega Gian Gabriele Ori, professore di Geologia all’Università D’Annunzio di Pescara e Chieti e membro del comitato esecutivo del Mars exploration program analysis group della Nasa. Il Mepag si occupa di pianificare le attività di esplorazione su Marte. Ori fa parte dei comitati per la Planetary protection e per l’individuazione delle cosiddette “special region”, quelle zone a ‘traffico limitato’ dove potrebbe trovarsi qualche forma di vita (per esempio dove c’è acqua o molecole organiche), anche per la missione Exomars dell’Esa.

“Volendo ci si potrebbe arrivare  –  continua Ori  –  in fondo Opportunity è ancora lì che gira dopo più di dieci anni e Curiosity ha un’autonomia e una velocità maggiore grazie al motore nucleare. Ma bisogna stare molto attenti, se si dovesse dichiarare una “special region” dove si trova il rover, se vedo qualcosa che mi suggerisce la presenza di vita, mi devo fermare. Non ci posso andare”. E ancora: “Se la missione per qualche motivo dovesse trovarsi in una di queste “special region” bisognerebbe sospenderla altrimenti sarebbe grave”. Meglio stare alla larga, insomma.

È un risvolto che può sembrare paradossale: cercare l’acqua e la vita extratterrestre ma non poter fare l’ultimo passo per dare un’occhiata. Anche la prossima missione, Mars 2020, eviterà accuratamente di finire in spazi “proibiti”. Per esempio ai poli, il suo motore nucleare potrebbe sciogliere parte del ghiaccio che lo circonda.

Una prudenza che ha le sue radici nell’epoca della “corsa allo spazio” ma che ha effetti oggi a maggior ragione, poiché le tecnologie permettono di arrivare molto più lontano, i rischi di “inquinare” altri mondi sono anche molto più alti. Nonostante uno studio pubblicato su Nature nel 2013 abbia contestato un’eccessiva “apprensione” nei confronti di Marte, i protocolli sono aggiornati e applicati regolarmente dal Cospar. Una sterilizzazione via via più efficace in base al tipo di missione che un certo modulo è chiamato a compiere, e quella di Curiosity non prevede la ricerca di forme di vita e il diretto contatto con un ambiente che la possa ospitare: “Non c’è mai la certezza al 100 per cento di avere sterilizzato completamente, questo porterebbe anche a costi elevatissimi, per questo vengono evitate le “special region” – conclude Ori – e contaminare Marte con dei microrganismi di origine terrestre vorrebbe dire mandare a monte tutta la ricerca”.[fonte]

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