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Beagle 2 era svanita 11 anni fa sulla superficie di Marte senza lasciare tracce. Grazie alle immagini di MRO è stata ritrovata. E si è scoperto il “guasto” che ci ha fatto perdere il contatto con la prima (e finora unica) sonda inglese.

Il minuscolo puntino bianco a sinistra nell’immagine qui sopra è Beagle 2, la prima (e finora unica) sonda inglese ad atterrare su Marte. Scomparve la notte di Natale del 2003, dopo essere entrata nell’atmosfera marziana. Una volta sganciato dalla sonda madre europea Mars Expess, il 19 dicembre 2003, Beagle 2 aveva iniziato la sua discesa. Dopo 6 giorni era entrato nell’atmosfera e aveva inizaito la fase più delicata della discesa: la sonda avrebbe dovuto rallentare la sua caduta con i paracadute e – per la prima volta – avrebbe utilizzato degli airbag nella fase dell’impatto con il terreno.

Ma dopo il normale periodo di silenzio radio durante la discesa, la sonda non ha più dato alcun segno di vita.

Da allora, gli scienziati – soprattutto gli inglesi – l’hanno cercata attentamente, osservando le immagini inviate a terra dagli orbiter che scrutano incesssantemente il pianeta rosso. L’obbiettivo degli scienziati inglesi era chiaro: capire dove fosse finita Beagle 2, come fosse atterrata e che cosa non avesse funzionato.

Ritrovata. Il 16 gennaio l’agenzia spaziale della Gran Bretagna ha annunciato che i suoi resti sono stati scoperti nelle immagini riprese da HiRise, la telecamera HD a bordo del Mars Reconnaissance Orbiter (MRO) della Nasa.

 

Dove si dovrebbero trovare i resti di Beagle 2, del paracadute che ne ha frenato al discesa e del guscio posteriore

che ha ospitato la sonda prima dell’atterraggio.

 

L’analisi dell’immagine suggerisce che la sonda sia atterrata con successo (ottimo risultato), ma che almeno uno dei suoi pannelli solari non sia riuscito ad aprirsi, non fornendo sufficiente potenza ed energia alla sonda e soprattutto all’antenna che lo avrebbe dovuto tenere in contatto con la sonda madre, l’europea Mars Express.

La missione. Appena atterrata, la buffa sonda – infatti – si sarebbe dovuta aprire come una cozza e dispieghare quattro piccoli pannelli solari a forma di disco, capaci di sprigionare l’energia necessaria per 180 giorni (la durata della missione).

Un rendering di Beagle 2. | ESA

 

Obiettivo della missione? Fiutare (come i famosi cani beagle da cui prendeva il nome) nell’atmosfera tracce di metano, esaminare le rocce e raccogliere campioni di terreno per individuare residui organici.

Colin Pillinger, l’astronomo inglese che guidava la missione di Beagle 2. | Getty Images

 

Tristezza. Colin Pillinger, lo scienziato inglese noto anche per le sue basette e a capo della missione non è riuscito putroppo a sufficienza per scoprire il destino della sua “bambina”: è morto nel maggio del 2014.

 
Qui sotto, Mark Sims, dell’Universaità di Leicester spiega in inglese la missione di Beagle 2 e di come è stata ritrovata.[fonte]

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