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Lo scorso 31 luglio la NASA ha svelato come sarà equipaggiata la prossima generazione di rover marziani, forti delle esperienze fatte con Curiosity e dei test ancora in corso sulla superficie marziana. Le aspettative per la missione del 2020 sono altissime e negli scopi del nuovo programma pare esserci anche il riuscire a riportare sulla Terra dei campioni, cosa che apre uno scenario complessivo completamente diverso rispetto a quanto fatto finora. Come potete immaginare, il percorso per arrivare alla configurazione attuale è stato lungo. La necessità di dover limitare lo spazio in cui allocare gli strumenti ha reso obbligatorie scelte dolorose in termini scientifici. In questo articolo focalizzeremo la nostra attenzione su uno di questi apparati: il MOXIE.

Il nome è un acronimo, sta per Mars Oxygen In-Situ Resources Utilization Experiment. Lo scopo può essere descritto in questo modo: si tratta di un dispositivo in grado di raccogliere diossido di carbonio dall’atmosfera marziana per trasformarlo in ossigeno e monossido di carbonio. La parola chiave ovviamente è ossigeno. Se il MOXIE si dovesse rivelare pienamente operativo la cosa ha implicazioni notevoli. Per esempio un numero adeguato di stazioni MOXIE potrebbe essere in grado di immagazinare abbastanza ossigeno per rifornire una missione con equipaggio umano.  E’ la prima volta che uno strumento del genere viene utilizzato e questo contribuisce a mostrare come l’agenzia americana si stia focalizzando su un tipo di missione diverso per il futuro

Il responsabile di questo strumento, Michael Hecht dell’MIT, lo ha descritto come “una fuel cell al contrario” ricordando come uno dei sottoprodotti delle fuel cell sia appunto l’ossigeno. Non sono stati diffusi i dettagli del funzionamento del MOXIE, per ora il focus viene riservato alla sua resa – ancora da dimostrare in condizioni operative – e ai possibili utilizzi dell’ossigeno prodotto. Se è intuitivo che possa servire agli astronauti (la NASA pensa di poter lanciare una missione umana dopo il 2030), va fatto notare come lo stesso gas possa anche essere usato per l’utilizzo di carburante, come ossidante. Anche qui le implicazioni sono interessanti,visto che si pensa anche di poter ricavare metano dal pianeta.

Uno scenario futuro in cui si possano generare parte delle risorse necessarie direttamente su Marte permette di estendere il campo delle ipotesi. Stazioni automatizzate basate sulla tecnologia MOXIE per l’ossigeno, impianti simili per il metano, altri ancora dediti alla produzione dell’energia elettrica (solar factory e non solo), ricerca di minerali utilizzabili e siti in cui sia possibile utilizzare sonde geotermiche. In poche parole, un insediamento stabile su Marte che possa essere abitato (anche per brevi periodi) da esseri umani. Sono ancora ipotesi ma cominciano a diventare progetti. Auguriamoci che il MOXIE mantenga le promesse, la posta in gioco è sempre più importante.

Nello scenario in questione l’idea di fondo è quella di far atterrare sul pianeta rosso un reattore nucleare, del tipo self-contained in uso nei sottomarini, e una versione molto più grande del MOXIE. Se si pensa che l’apparato sperimentale dovrebbe essere in grado di produrre 22 gm/H di ossigeno, l’output di un apparecchio cento volte più grande dovrebbe essere tale da garantire una robusta provvista di ossigeno. Portare su Marte questo genere di hardware è già possibile con le tecnologie attuali e i progressi fatti negli ultimi decenni nel controllo remoto rendono praticabile l’idea di una prima fase di preparazione (deploy e attivazione delle apparecchiature) seguita da una seconda di impiego di specialisti umani.

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