Il fisico Paul Davies cerca prove dell’esistenza di civiltà evolute che in tempi remoti potrebbero aver già esplorato il nostro sistema solare
Ora lo ammette anche il capo della Nasa: sarebbe sorprendente se la Terra fosse l’unico pianeta abitato nella vastità del cosmo. Charles Bolden si è spinto pure un po’ più in là, affermando- come già fatto in passato da altri illustri colleghi- che la scoperta di tracce di vita aliena è vicina, vicinissima, forse possibile nel giro di 20 anni. Una dichiarazione riportata con enfasi da vari organi di informazione, perché sembra la conferma ufficiale di quanto dicono da tempo molti ricercatori: no, non siamo soli nell’Universo.
Ne è evidentemente sempre più convinto anche un altro pezzo da novanta dell’astronomia, il fisico Paul Davies, uno dei principali sostenitori del SETI (Search for Extra Terrestrial Intelligence), ora direttore del Beyond Center dell’Università dell’Arizona, con sede a Temple, e famoso divulgatore scientifico. Davies però non si accontenta di semplici microbi marziani: sta infatti cercando le prove, oggettive, dell’esistenza di civiltà evolute che in tempi remoti potrebbero aver già esplorato il nostro sistema solare.
La sua attenzione si focalizza sulla Luna. Il nostro satellite potrebbe recare i segni di questo passaggio alieno. Lassù forse si trovano ancora manufatti lasciati da quei lontani visitatori, conservati dalla polvere lunare intatti fino ai giorni nostri, oppure potrebbero esserci tracce di scavi, di attività industriale, di produzione di energia o persino tecnologia atta a studiare il pianeta più prossimo- ossia, la Terra.
L’idea che Davies cerca di promuovere ormai da qualche anno è questa: ci vuole uno sforzo collettivo, con quanti più volontari possibili, per passare al setaccio tutte le immagini scattate al nostro satellite delle sonde inviate nel corso degli ultimi decenni, a partire da quelle contenute nel catalogo del Lunar Reconnaissance Orbiter. Un’analisi capillare, un lavoro certosino che da soli gli scienziati non potrebbero mai realizzare: ma se a controllare il materiale, foto dopo foto, fossero migliaia di astrofili sparsi per il globo, si potrebbe forse scoprire un’ anomalia interessante, un elemento artificiale, una traccia non umana.
Una proposta che a quanto pare il fisico londinese vuole ripresentare nel corso del meeting organizzato il prossimo settembre dal SETI Research Network britannico, davanti a decine di suoi pari grado. Un atto di coraggio, da parte sua: finora una simile eventualità non è mai stata presa in considerazione dalla maggioranza della comunità scientifica. E sarà come una caccia al tesoro: i pazienti ricercatori casalinghi dovrebbero passare al setaccio la quantità infinita di scatti con i quali la sonda della Nasa, a partire dal 2009, ha immortalato circa 10mila siti lunari, mappando il 90 per cento circa del nostro satellite, con una risoluzione molto elevata.
“Si potrebbero evidenziare resti di scavi o di estrazioni con la gravimetria o con rilevamenti magnetici, anche se le miniere fossero sepolte nella regolite lunare”, ha detto lo scienziato. “Potremmo anche individuare rifiuti nucleari, cercando fonti di raggi gamma provenienti dalla sua superficie.” Ipotizzabile, poi, l’uso di un software particolare, come quello utilizzato dai volontari reclutati per analizzare le immagini satellitari dopo la scomparsa del Boeing malese lo scorso maggio.
“Ogni ricerca necessita di un programma per computer adatto allo scopo, ma quando si va alla caccia di artefatti, si guardano tutte le stranezze. E questo comporta una decisione umana, in merito a ciò che può essere artificiale. L’esempio più semplice è un angolo perfettamente retto. Ma noi non abbiamo in realtà idea di come potrebbe apparire una tecnologia antica di milioni di anni.”
Il concetto infatti è proprio questo: se mai davvero qualche forma di civiltà non terrestre ha perlustrato il nostro satellite, lo deve aver fatto molto, molto tempo fa, forse persino miliardi di anni fa. D’altra parte, il nostro pianeta è relativamente giovane, con i suoi 4,5 miliardi di anni. Ha solo un terzo dell’età dell’Universo- se davvero il Big Bang si è verificato 13,7 miliardi di anni fa. Prima che la Terra si formasse, prima che sulla sua superficie si sviluppasse la vita allo stadio primordiale, altrove potevano già esistere mondi abitati, anche con creature evolute.
Ammettendo che il numero di civiltà extraterrestri tecnologiche si mantenga costante nel tempo, Davies ritiene probabile che il nostro sistema solare sia stato visitato almeno una volta negli ultimi 4 miliardi di anni. Ma anche se così antichi, eventuali resti di un passaggio alieno sulla Luna sarebbero tuttora presenti. “Sulla Terra, le opere dell’uomo vengono sepolte nel giro di secoli. Sulla Luna ci vogliono decine di milioni di anni”, ha spiegato. Forse l’ultimo passaggio risale a 100 milioni di anni fa. In ogni caso- a scanso di equivoci- ha escluso visite in tempi recenti.
Delusi dunque i teorici degli Antichi Astronauti. Anche perché per lo scienziato inglese è assai improbabile che i curiosi viaggiatori dello spazio fossero creature in carne ed ossa. “Ritengo che l’intelligenza biologica sia solo una fase transitoria nell’evoluzione dell’intelligenza nell’Universo. Perché spedire fragili entità biologiche in un pericoloso viaggio attraverso la vastità del cosmo quando quasi tutta l’attività intellettuale più pesante- e quindi figuriamoci lo sporco lavoro fisico- saranno realizzati da sistemi appositamente progettati?”
Ad atterrare sulla superficie della nostra Luna potrebbero essere state- 4 miliardi o 100 milioni di anni fa- delle sonde robotizzate spedite da una civiltà avanzata per esplorare ogni angolo dell’Universo. Insomma, le cosiddette sonde auto replicanti di Von Neumann ( dal nome dello scienziato che le ha ipotizzate per primo) in grado di aggiustarsi, in caso di guasto, e di moltiplicarsi, creando altri propri simili che a loro volta si diffondono nello spazio, all’infinito.
A scegliere come luogo di atterraggio proprio la nostra Luna potrebbero essere state anche sonde diverse. “Non c’è nessun motivo di pensare che solo una civiltà le abbia inviate: ce ne potrebbe essere una grande varietà”, sostiene ad esempio John Gertz, presidente del FIRSST (Foundation for Investing in Reasearch on Seti Science and Technology). Forse, quelle strumentazioni aliene sono rimaste finora silenti, in attesa che una tecnologia- in questo caso, la nostra- si sviluppasse a sufficienza da rendersi conto della loro esistenza. Forse, ora potremmo essere in grado di captarne e decifrarne un eventuale messaggio radio.
Ma saremo anche capaci di vederle? Chissà, magari migliaia di pazienti volontari insieme riusciranno nell’impresa. “Gli astronomi di professione spesso hanno la tendenza a ritenere un segnale inaspettato solo come un’interferenza. Quando si tratta dell’inatteso, l’occhio di un ricercatore dilettante può essere altrettanto efficace, se non addirittura più efficace, rispetto ad un professionista con dei condizionamenti”, afferma Andrew Siemion, astronomo dell’Università della California, a Berkeley.
Dilettanti sì, ma non allo sbaraglio. Secondo Paul Davies, dovranno concentrarsi su tutto ciò che appare strano, come ad esempio rocce troppo regolari o ad altre apparenti anomalie vulcaniche. L’invito per tutti- scienziati compresi- è a tenere gli occhi ben aperti, perché la firma aliena si potrebbe nascondere dietro l’ angolo. La sua è solo un’utopia? “Io rivendico il diritto di fare ricerche in tutti gli archivi accessibili gratuitamente anche solo per il gusto di farlo”, risponde lui imperturbabile.[fonte]