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Le teorie di un astronomo canadese sulla possibilità di incontrare altri posti abitabili nell’Universo

 

Cerchiamo pianeti adatti ad ospitare la vita e ci focalizziamo sui mondi il più possibile simili al nostro. Pensiamo che candidati perfetti possano essere le lune dei giganti gassosi, sparsi in gran numero per il cosmo. Anzi, molti scienziati sostengono che il primo luogo abitato che scopriremo al di fuori della Terra sarà proprio un satellite legato ad un superpianeta gioviano in orbita nella cosiddetta Fascia di Abitabilità. Un’idea, però, che un recente studio sembra ridimensionare. 

L’astronomo canadese Rene Heller della McMaster University di Toronto si è infatti concentrato sulle esolune, per capire come si formino, quale potrebbe essere il loro aspetto e in che modo potremmo trovarle con le strumentazioni oggi in nostro possesso o quelle a venire nell’immediato futuro. Ma il punto centrale- e più complicato della ricerca- è riuscire a stabilire quali condizioni le rendano abitabili. L’analisi è contenuta in un articolo, scritto insieme al collega Rory Barnes dell’Università di Washington e pubblicato dalla rivista scientifica The International Journal of Astrobiology.
I due hanno cercato di capire gli effetti del calore emanato da un esopianeta appena formato in aggiunta a quello irradiato dal suo sole: prima che il mondo alieno si raffreddi, le lune più vicine rischiano di essere letteralmente arse, perdendo tutta la loro acqua e rimanendo desolate. Dunque, del tutto inadatte allo sviluppo di forme di vita. “L’abitabilità di una esoluna dipende dalla sua posizione rispetto alla stella di appartenenza, ma anche dal suo pianeta ospite. Riguardo la seconda fonte di calore, il nostro studio mostra che, ad una distanza ravvicinata, l’illuminazione prodotta da un giovane e bollente gigante gassoso può rendere le lune inabitabili.”

Insomma, non basta trovarsi nel posto giusto del sistema solare. Le scoperte di Heller suggeriscono che ci vuole cautela, prima di affermare che un satellite alieno- pur dalle caratteristiche simili alla Terra- possa essere un luogo ideale per la vita. È necessario innanzitutto valutare le sue distanze orbitali, passate e presenti. “Le esolune, presto individuate dai nostri telescopi, potrebbero essere state prosciugate subito dopo la loro formazione ed essere tuttora completamente aride: per valutarne l’effettiva abitabilità, è cruciale determinare la storia anche del suo pianeta ospite”, spiega l’astronomo di Toronto.
Secondo le teorie comunemente accettate, i satelliti si formano proprio come i pianeti. Questi ultimi si aggregano a partire dalla materia del disco protoplanetario  avanzata dopo la nascita delle stelle. Con l’aumento di massa e gravità, i pianeti in fieri a loro volta attraggono dei mini-dischi di gas e polvere: i detriti residuali compongono le lune. La nostra, però, sarebbe un’eccezione, visto che sarebbe stata prodotta da un impatto tra la Terra delle origini e un enorme frammento.


 
Nel loro articolo, Heller e Barnes hanno cercato di ipotizzare quale sia la distanza indispensabile perchè un satellite possa mantenere l’acqua liquida e hanno individuato una sorta di “confine abitabile”.  Le lune troppo vicine, per colpa anche del riscaldamento mareale provocato dall’attrazione gravitazionale, rischiano di rimanere completamente secche: si scatena un effetto serra incontrollato, il vapore acqueo fa aumentare ulteriormente le temperature; tutta l’acqua si trasforma in gas e l’elemento più leggero- l’idrogeno- si disperde nello spazio.
Tuttavia, le orbite non sono fisse: l’attuale posizione di un satellite può non essere quella che possedeva milioni se non miliardi di anni fa. Con tutti questi elementi, i due astronomi hanno creato un modello di luna potenzialmente abitabile abbinata ad un gigante gassoso. Essa deve possedere una determinata massa ed essere sufficientemente grande per trattenere la propria atmosfera e generare un campo magnetico grazie ad un nucleo ferroso. Come minimo, affermano i ricercatori, questa luna deve avere le proporzioni di Marte o avere un quarto della massa della Terra.
Nulla a che vedere con quelle presenti nel nostro sistema solare: il satellite più massiccio di tutti, Ganimede, ha una massa pari ad un quarantesimo di quella terrestre. Ma va anche detto che vari studi sostengono che i giganti gassosi presenti nella Via Lattea siano assai più ampi di Giove; di conseguenza, potrebbero possedere delle super-lune. Nel loro modello, i due ricercatori hanno così ipotizzato un mostro con 13 volte la massa gioviana- il limite oltre il quale un pianeta entra nella categoria di nana bruna ( ovvero, di “quasi stella”). A quel punto, il calore emesso sarebbe così intenso da rendere impossibile una qualsiasi forma di abitabilità.
Nella loro simulazione, Heller e Barnes hanno preso in esame sia un gemello della Terra, sia un super-Ganimede, cioè una luna ghiacciata con un quarto della massa terrestre. Li hanno poi piazzati, insieme al loro ipotetico pianeta ospite, in due punti differenti: la prima ad una distanza molto simile a quella del nostro pianeta dal Sole, la seconda all’incirca nella posizione attuale di Marte. Inoltre, hanno preso in considerazione quattro differenti tipi di orbite, in base all’eccentricità. Ultimo elemento da considerare, la data di nascita del pianeta gassoso: più è giovane,  più emette calore. Hanno così contemplato tre diverse età: 100 mila, 500 mila e 1 miliardo di anni.
 
Posti tutti questi parametri, i ricercatori hanno appurato che la luna identica alla Terra potrebbe conservare la sua riserva di acqua solo se si trovasse ad una distanza superiore ai 20 raggi gioviani, ma non il super-Ganimede che sarebbe comunque sottoposto ad un feroce effetto-serra. Tuttavia, anche il satellite più riarso potrebbe avere ancora una chance: perturbazioni gravitazionali potrebbero farlo migrare oltre quel confine mortale, in un’orbita più distante. E a quel punto, un bombardamento cometario potrebbe riportare l’acqua sulla superficie asciutta- proprio come si pensa che sia accaduto anche per la Terra.
In sostanza, lo studio dei due ricercatori dimostra che non tutte le esolune, pur legate a pianeti collocati nella Fascia di Abitabilità delle loro stelle, devono essere considerate, di default, candidate perfette per ospitare la vita. I dati da tenere in considerazione sono molteplici e complessi. “Dovremo fare del nostro meglio per analizzare la storia passata dei satelliti alieni, al fine di comprendere meglio se davvero c’è la possibilità di trovare vita extraterrestre.”
Ma c’è un’altra luna- molto vicina a noi- che sta mettendo in agitazione il mondo scientifico internazionale: è Encelado, in orbita attorno a Saturno. Pochi giorni fa, un articolo pubblicato da Science ha confermato quella che era già più di un’ipotesi: al di sotto della spessa crosta ghiacciata di questo piccolo satellite, c’è un’estensione di acqua allo stato liquido grande almeno quanto il Lago Superiore.
Già nel 2005, le immagini scattate dalla sonda Cassini avevano lasciato sbigottiti i ricercatori: esse mostravano dei geyser di cristalli ghiacciati emessi dal polo sud della luna. Nei successivi sorvoli, Cassini ha ripreso le fessure- denominate strisce di tigre- dalle quali scaturiscono quei getti, misurandone la temperatura ed individuando la presenza di molecole organiche- i mattoni per la vita. Dal flyby effettuato dal 2010 al 2012, poi, è giunta l’ultima scoperta.

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I segnali inviati dalla sonda a terra mentre mappava il campo gravitazionale di Encelado hanno permesso di stabilire che la gravità è più debole al polo sud. A prima vista, tutto normale: lì c’è una depressione e meno massa comporta anche minor gravità. Ma gli scienziati si aspettavano un calo molto più sensibile. “Allora dici: ah, ci deve essere una compensazione… Qualcosa di denso sotto al ghiaccio. La candidata naturale è l’acqua”, ha detto David J. Stevenson,  professore di Scienze Planetarie all’istituto di Tecnologia della California ed autore della pubblicazione.
L’acqua allo stato liquido è infatti  più densa di quella ghiacciata: per tanto, la presenza di un vasto bacino a 35/40 chilometri sotto la superficie congelata fa tornare tutti i conti. “C’è un oceano che si estende in ogni direzione, dal polo sud fino a metà strada dall’equatore. Potrebbe essere profondo 10 chilometri ed essere assai più grande del lago Superiore”, ha aggiunto Stevenson.
Questa scoperta non è stata una sorpresa, ma ha rafforzato l’entusiasmo dei ricercatori per i quali questa piccola luna gelida, dal diametro di 500 chilometri, è diventata il luogo più promettente per trovare la vita aliena. Anche più interessante di Marte. “Meglio Encelado, sicuramente. Qui sappiamo che c’è acqua calda, in questo momento”, ha per esempio affermato un altro astrofisico, Larry W. Esposito, docente dell’Università del Colorado. Ecco perchè molti sono convinti che sia necessario organizzare una missione fin quassù, per prelevare un campione da quei pennacchi di vapore da analizzare alla ricerca di microbi.
Ad oggi, nel nostro sistema solare, sono 4 i candidati ad ospitare forme di vita extraterrestre: Marte, Encelado, Titano (un’altra luna di Saturno) ed Europa, satellite di Giove. Ma secondo l’astrobiologo Christopher P. McKay, dell’ Ames Research Center della Nasa, Encelado è l’unico con tutte le carte in regola, perchè possiede gli ingredienti essenziali: acqua liquida, energia, carbonio ed azoto. “È la nostra migliore scommessa”, dice.
Tuttavia,  al momento nessuno può sapere quando il suo mare si sia congelato o quando si sia formata l’acqua liquida; potrebbe essere un periodo di tempo troppo breve- a livello cosmico- per permettere lo sviluppo di esseri viventi. Ma, nello stesso modo, nessuno può dire con certezza quanto ci voglia perchè la vita si formi: qualche decina di milioni di anni? Oppure basta molto di meno? Per questo, è indispensabile andare a prendere quel campione dai geyser.
 
Peter Tsou, ex scienziato del Jet Propulsion Laboratory della Nasa, ha la soluzione: propone di far passare una sonda attraverso i pennacchi bollenti di Encelado e poi farla tornare indietro- lo stesso metodo utilizzato per recuperare le particelle cometarie durante la missione Stardust. Semplice, se non servisse un budget di almeno 500 milioni di dollari e se ci fosse la certezza che in quei vapori non si annidino microbi alieni in grado di contaminare la Terra.[fonte]

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